Il Campetto del Prete era il nostro Filadelfia. Un articolo di Sandro Bertocchi

 

Campetto Parrocchiale, Torneo Scarabocchio 1982: il primo a destra è Sandro Montanari

 

Il Toro torna a casa.Verrà inaugurato questa mattina alle 10 lo Stadio Filadelfia, completamente restaurato dopo anni di abbandono e polemiche. Lì è custodita la memoria del Grande Torino, la leggendaria squadra granata che negli anni 40 dominò la scena calcistica nazionale fino alla tragedia di Superga del maggio ’49 Nel 1999, lo juventino Sandro Bertocchi scrisse per il caffè l’articolo che vi riproponiamo qui sotto, in cui paragonava il Filadelfia al campetto parrocchiale dov’è nato il Reno.

 

Venticinque anni fa don Carlo recintò il pratino accanto alla canonica, dove già i ragazzi si radunavano spontaneamente per giocare a calcio. Sembrò che quella rete volesse lasciare fuori il paese che cresceva tutt’intorno, oppure che si volessero chiudere in gabbia i sogni dei bambini. Ma don Carlo, che pensava all’oratorio, sapeva che quel campetto sarebbe diventato il centro di ogni attività, crocevia dei mille modi di vivere la Parrocchia.

Per quelli che lì sono cresciuti giocando a calcio il campetto del prete è una specie di campo Filadelfia, consegnato letteralmente “all’amore per i fratelli”. E chi conosce appena un po’ la storia del calcio, fosse anche tifoso juventino (come me), interista, bolognese o milanista, sa cosa significa il Filadelfia, lo stadio dei sogni che Tuttosport, il quotidiano sportivo di Torino, sta cercando con una bella iniziativa di salvare e recuperare al “cuore granata”.

Lo stadio, ora in disarmo, sorge nel cuore della città, tra i palazzoni della Torino operaia ed è caro a quanti ricordano le gesta sportive di cui è stato testimone. L’immenso, freddo e scomodo Delle Alpi non potrà mai sostituire negli affetti granata questo angusto rettangolo verde.

Penso al Filadelfia e penso a don Carlone, quando guardo da dietro la siepe il nostro campetto del prete.

 

  

Torneo Scarabocchio 1982

 

Di verde, qui, non ne è rimasta traccia, nonostante il nobile tentativo di Andrea Binelli, uno di quelli che a questo spazio ed alla sua importanza per l’educazione non solo sportiva ha creduto fermamente. Andrea lo livellò, lo colmò di terra e vi seminò l’erba che avrebbe poi stentato a crescere.

Ma questo non è mai stato un ostacolo per la moltitudine che negli anni vi si è succeduta e che continua a frequentarlo. I ragazzi evidentemente, a differenza dei professionisti della serie A, non si formalizzano per un rimbalzo irregolare della palla o per uno scivolone con conseguente impanatura di polvere e sbucciatura di ordinanza, e, in quanto al drenaggio, cosa c’è di più bello che ritornare a casa la sera con la maglietta infangata.

Su questo campetto le generazioni si sono avvicendate dai tempi di don Carlone che lo fece nascere e ne individuò tra i primi la funzione catalizzatrice.

Aspetto sottolineato, una sera di qualche tempo fa, anche da personaggi eccellenti venuti nel teatrino per portare la loro testimonianza sull’importanza dell’Oratorio. Antonio Cabrini, che in un oratorio è nato e cresciuto, si compiaceva per quanto visto da noi, e manifestava la propria preoccupazione perché di strutture così, soprattutto in città, se ne vedono sempre di meno, con i rischi che ne conseguono per i giovani che, non avendo più un punto di riferimento sicuro, imboccano strade più pericolose.

Certo che in questi pochi metri quadrati, sempre frementi di bambini chiassosi che vivono in curiosa simbiosi col compassato centro storico, sono nate e si perpetuano tante belle iniziative: questo è il campo di allenamento dei bambini del Reno, qui più di cento ragazzini danno vita all’Estate Ragazzi, qui si svolge il classico torneo di calcetto che ogni estate riempie la gradinata.

Qui c’è ancora il sapore di momenti gioiosi, il gusto degli interminabili partitoni improvvisati dopo la scuola e giocati ad oltranza; qui è ancora palpabile il bisogno di fare gruppo, di ritrovarsi fra amici per fare progetti che non richiedano necessariamente la consulenza dei genitori. Qui si consolidano le amicizie, quelle destinate a durare perché alimentate dalla stessa voglia di fare insieme.

C’è la vita al campetto, lo stadio dei nostri sogni, dove la gioia ed il dolore si rincorrono e dove, una volta, perfino la morte ha allungato la sua ombra. Il Filadelfia pianse per i suoi caduti a Superga, per Gigi Meroni, la “Farfalla Granata” travolta da un’automobile; il campetto ha pianto per Luca, che di Gigi Meroni, se non il talento calcistico, aveva lo stesso inesauribile bisogno di correre.

Sandro Bertocchi

(il caffè / 1999)

 

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Sandro Bertocchi: “… di Molinella e di molinellesi”; La Compagnia del Caffè, 1999

 

 

   

 

 

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