E' prete da 50 anni. Biografia non ufficiale di Don Antonio, detto Don Fulmine

 

 

 

Don Antonio Dalla Rovere, che proprio ieri ha festeggiato con i parrocchiani di Altedo i suoi primi 50 anni di sacerdozio, è nato a Bologna nel 1943. La mamma era una Calzoni, quelli delle famose Officine Meccaniche, fondate nel 1834. Il padre, ingegnere, aveva avuto in famiglia nientemeno che un papa (e che papa!): Giulio II, nato Giuliano Dalla (o Della) Rovere, salito al Soglio Pontificio nel 1503, passato alla storia come "il Papa guerriero”; nemico dei Borgia, cacciò i Bentivoglio da Bologna, condannò la simonìa e istituì la Guardia Svizzera; protagonista del Rinascimento Italiano, fu il grande sponsor di Michelangelo. Le cronache del tempo lo descrivono come un uomo che non aveva paura di niente e di nessuno, un tipo che andava per le spicce, poco incline alle riflessioni teologiche. Uno che, insomma, badava al sodo, senza perdersi in chiacchiere. Sembra il ritratto di Don Antonio

Il nostro, che mai si farà vanto delle sue origini, cresce nella Bologna rossa e laica, quella dei sindaco Dozza e del cardinal Lercaro. Gioca a calcio nel Bologna. Dai pulcini, che all’epoca avevano quattordici anni, arriva fino alla De Martino, l’attuale Squadra Primavera. Ruolo: terzino. Dènt o ganàsa le sue caratteristiche tecniche. L’allenatore è Amedeo Biavati, la miòur èla dèstra dal mònd, l’inventore del paso doble, non proprio l’ultimo arrivato. Qualcuno dei suoi compagni di squadra diventerà famoso. Uno in particolare, Tentorio, noto per le micidiali punizioni che decimavano le difese avversarie.

Nel frattempo, condivide con i fratelli Avati (Pupi, di qualche anno più anziano, e Antonio) le scorribande giovanili in Zona Saragozza e la comune militanza nel gruppo scout. Le storie famigliari che il regista bolognese ha raccontato nei suoi film (quella della zia che – tanto per restare in tema – restituisce al prete la corona del rosario, tutti i santini e si converte al Pci; oppure quella della cugina moribonda, che appena la segnarono sulla fronte con l’immagine della Madonna di Loreto subito resuscitò, reclamando alle tre di notte un piatto di tagliatelle) le conosce bene anche Don Antonio. Quanto ci sia di vero in quelle storie e quanto di inventato, su questo Don Antonio potrebbe tenere una conferenza anche adesso. Che abbiano segnato la sua vita come quella dell’amico regista, questo non lo sappiamo. Don Antonio è indubbiamente di scorza dura e crediamo ci sia voluto anche qualcos’altro per scalfirne la resistenza.

Comunque sia, ad un certo punto arriva la Chiamata, quella vera. Don Antonio lascia tutto, la famiglia, gli amici, il calcio (ma non gli scout) e va in Seminario. Il 7 settembre 1968 viene ordinato sacerdote. Lo mandano come cappellano all’Arcoveggio. Compare dalle nostre parti qualche anno dopo, nel 1972, parroco di Selva Malvezzi col compito di aiutare anche Don Carlo, l’arciprete di Molinella. Gli farà “da mamma e da papà” per più di vent’anni, soccorrendolo in tutte le necessità della parrocchia. Dalle questioni liturgiche alla lavatrice da riparare, per tutto c’era Don Antonio. “Lo vedevi sfrecciare da un posto all’altro in pulmino – ricorda un parrocchiano - Lo chiamavamo Don Fulmine. Non si fermava mai. Finita la Messa a Marmorta (dov’era andato parroco nel 1980, NdR), correva a Molinella. Non si toglieva nemmeno i paramenti per far prima. Scendeva al volo dal pulmino, un calcio alla porta e via cantando, con quella voce cartavetrata: Al tuo santo altar m’appresso o Signor ...”. Ad uno così, come facevi a stargli dietro?

Don Antonio è stato (ed è) indubbiamente un punto di riferimento importante per tanti. Un prete che dà l’idea di essere felice di fare il prete anche adesso che è vecchio. Che non si è mai tirato indietro, che non ha avuto paura di sporcarsi le mani e le vesti per stare in mezzo al suo gregge. Un prete che, come dice qualcuno (ma chissà poi se è vero?), in mancanza d’altro non esiterebbe a dir Messa anche sul cassonetto del rusco, perché Dio è dappertutto.

Tutto questo, volendo, appartiene alla biografia ufficiale, al Libro che è scritto in Cielo. Qui, in maniera più terrestre, lo ricordiamo ai lettori di Duecaffè come l’animatore instancabile dei campi estivi di Vedriano. Come il prete che, nel 1990, volle celebrare la Messa delle Bandiere allo stadio, divenuta poi una tradizione delle Olimpiadi dei Ragazzi. Come l’assistente spirituale dell’Unione Sportiva Reno, per la quale ha fatto anche l’autista. Memorabile la gita a Milanello nella primavera del 1995, con Don Antonio che varcò i cancelli del luccicante regno berlusconiano alla guida di uno scassatissimo ma coloratissimo pullman da 40 posti, appena dismesso dal Circolo Cacciatori di Ferrara.

Quando nel settembre del 1996 Don Antonio lasciò la Parrocchia di Marmorta, e quindi anche Molinella, Reno organizzò una festa di saluto in teatrino, preceduta dalla Messa. Ed è qui che si è compiuto il vero miracolo di Don Antonio, quando Giordano Ravagnani, il presidente dell’US Reno che non aveva mai messo piede in chiesa, conquistato dall’esempio del prete tuttofare, varcò finalmente la soglia del tempio e partecipò alla Messa in silenzio, seduto nell’ultimo banco. Non fu conversione, ma rispetto.

 

Riavvolgendo il nastro di questa storia, si racconta all’inizio di un bambino al quale chiesero cosa volesse fare da grande. Voglio fare il Papa, rispose. Ha fatto solo il prete, ma a noi è piaciuto lo stesso.

 (Andrea Martelli)

 

 

 

 

   

 

 

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