Porretta, Giro del 76. Mi venne incontro e disse: Piacere, Felice Gimondi...

 

 

 

UN ARTICOLO DI MARIA GRAZIA TIMPANARO

 

Ci fu un tempo in cui fui spedita a Porretta Terme per il Giro d'Italia. Correva l'anno 1976. Lavoravo per una multinazionale che gestiva mense aziendali e alberghi.

Un pomeriggio, il Direttore dopo aver avuto una riunione con gli altri Capi, mi chiama nel suo studio. "Monna Grazia", così mi chiamava, "abbiamo deciso che sarà lei a dare il benvenuto ai campioni del Giro d'Italia, all'Hotel Helvetia". - Insomma me l'aveva messa giù bene... i campioni... io conoscevo il nome solo di tre ciclisti e unicamente perché erano sempre sulla bocca di tutti. Sì, perché fra il mio interesse per il Giro d'Italia e il Giro d'Italia in se stesso, c'era l'abisso esistenziale. Mah... non c'è il Direttore dell'hotel lassù a Porretta? E cosa dovrei fare io? Non lo dà il Direttore dell'Hotel il benvenuto ai ciclisti? "Monna Grazia, sì, ma noi vogliamo che lei lo affianchi perché ci sarà un sacco di gente. Si fermeranno in albergo a dormire e mangiare. Tutto il personale è impegnato e una rappresentanza dagli uffici la dobbiamo mandare e ci va lei! (sorridendo)".

Partii la mattina del giorno stabilito col trenino che da Bologna andava a Porretta. Erano ancora quei trenini di seconda classe, un po' scomodi ma avevano il loro fascino e attraversare le colline in treno, lasciando la città alle spalle, aveva un che di rigenerante. Arrivata a Porretta mi diressi verso l'Hotel, cercai del Direttore e mi si palesò un uomo tutto effervescente, in vestito blu e camicia bianca, sprizzava di gioia per l'evento. A me sembrava un po' esaltato. Che sarà mai il Giro d'Italia, pensai fra me. Tutti erano in movimento. Gente, forse addetti al Giro, arrivavano e poi se ne andavano; giornalisti. Davvero, continuavo a chiedermi cosa mi avessero mandata a fare lì, il Direttore se la cavava benissimo da solo. Non avevo ancora capito quale fosse il mio ruolo e il Direttore non si era nemmeno preso la briga di dirmi cosa avrei dovuto fare tranne che offrirmi continuamente dei dolci. Ma ecco che arriva l'ora x, stanno per arrivare, a questo punto il Direttore mi accompagna alla hall e lì arriva il mio turno, mi dice che debbo accogliere tutti, uno per uno, dargli la mano, sorridergli e dargli il benvenuto a nome della mia azienda. Mi molla da sola in quella hall perché lui li aspetta al passaggio successivo. No, dico, la hall era stata anche transennata per evitare che entrasse la gente da fuori anche se qualcuno era comunque riuscito a intrufolarsi. Io, impettita come un baccalà, nel senso che mi sentivo così tesa da non essere minimamente spontanea, ho teso la mano a tutti e sfoderando il mio migliore sorriso gli ho dato il benvenuto. Quando è passato Gimondi fra le mie mani, manco l'ho riconosciuto, se non fosse che lui si è presentato col nome e cognome dicendomi: piacere Felice Gimondi.

 

La sera tardi mi ritrovai a cena col Direttore, lui aveva ancora una straripante effervescenza addosso mentre io mi sentivo l'ospite d'onore di quell'hotel. Oltre che dare il benvenuto ai ciclisti non avevo fatto un tubo se non mangiare tutto quello che mi invitavano ad assaggiare. Alle due di notte mi infilai nella mia camera, una singola, silenziosa. Feci fatica a prendere sonno perché era la prima volta che dormivo in un hotel da sola.

Comunque, Gimondi vinse il Giro.

(mgt)

 

   

 

 

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