Festa di Ognissanti: la leggenda dei Santi Pescatori e il Campanile di Durazzo

 

 

 

 

Per la Festa di Tutti i Santi vi proponiamo questo racconto di Andrea Martelli, tratto dal libro “FIABE E LEGGENDE DELLA MOLINELLA”, in uscita il prossimo 12 dicembre.

 

Pioveva da giorni e sembrava non dovesse più smettere.

La pioggia colava lungo i muri di quelle povere case di campagna, riempiva i fossi e aveva ormai cancellato il sentiero che correva lungo la terra dei Pepoli.

Si sentiva da lontano il rumore del fiume gonfio d’acqua, che rotolava a valle dagli Appennini.

La donna di una famiglia di saltari da due giorni non vedeva il marito, che sul passo natante montava la guardia al fiume.

Verso sera, la donna guardò il cielo dalla finestra e si fece il segno di croce.

Poi cominciò a pregare, dicendo:

 

Alzati, San Giovanni, non dormire,

che vedo le nuvole venire!

Santa Barbara benedetta,

liberaci dal fulmine e dalla saetta!

 

Laggiù, verso la Boscosa, gemevano gli alberi sferzati dal vento..

Il vecchio entrò in casa, scrollandosi l’acqua d’indosso come fanno i cani bagnati.

 

Tempo da lupi! - disse, mentre preoccupato si toglieva la capparella che gettò sulla sedia di cucina.

 

Ricordava di aver sentito dire – da suo nonno, forse - che una volta un lupo era penetrato di notte nell’abitato di Durazzo e aveva mangiato una mamma col bambino.

E Durazzo si preparava adesso ad un’altra notte di paura.

Nessuno dormì, quella notte.

Nel buio delle loro case, se ne stavano tutti in silenzio con le orecchie aperte, ad ascoltare la pioggia che batteva contro i vetri delle finestre, pronti a cogliere ogni minimo rumore che veniva da fuori.

Ad una certa ora della notte si sentì il guardiano notturno gridare

 

Fora tott, arìva l’àqua! Tutti fuori, arriva l’acqua!

 

E subito dopo la campana della chiesa suonò a martello: sette tocchi ravvicinati, seguiti da un breve silenzio, e poi altri sette tocchi, che nel linguaggio campanario della Bassa volevano dire pericolo.

Proprio in faccia alla chiesa, l’Idice si era portato via l’argine sinistro per un tratto di circa quaranta pertiche,

Da quello squarcio, un fiume d’acqua si era rovesciato sul paese.

Qualcuno era andato di corsa a liberare le bestie nelle stalle, qualcun altro aveva cercato rifugio sui tetti con i famigliari, come già avevano fatto per istinto fin dalla sera prima cani, gatti, oche e galline.

E intanto l’acqua continuava a salire e la pioggia a cadere.

Passò la notte e un’alba livida spuntò su quel mare d’acqua e fango, dove galleggiavano tronchi d’albero e carcasse di animali e masserizie d’ogni genere strappate alle case degli uomini.

.

Tornò il sole, naturalmente, le stelle tornarono a brillare nel cielo freddo dell’inverno, la buriana si placò, ma quella bocca sull’argine non smetteva più di buttare acqua.

E continuò così per giorni e giorni.

Quando si capì che non c’era più rimedio e che il paese era perduto per sempre, una sera il parroco convocò in chiesa tutti i capifamiglia.

Confusi tra gli uomini, ultimi tra gli ultimi, c’erano anche i Santi Pescatori Filippo e Giacomo. Senza far rumore, erano scesi dalla nicchia di fianco all’altare, che da tempo immemorabile li ospitava quali patroni del paese..

Avevano le vesti legate in cintura e i piedi bagnati, perché l’acqua era arrivata fin lassù.

Alla luce delle candele, dopo aver invocato la benedizione del Signore su tutti coloro che abitavano quelle terre, il parroco disse che, per ordine delle autorità, entro mezzodì del giorno seguente, tutti avrebbero dovuto lasciare le loro case, con le mogli, i vecchi e i bambini, con le bestie che non erano annegate e quel po’ di roba che riuscivano a portare con sè..

 

Non è la prima volta che un nemico tanto più forte di noi sembra avere il sopravvento – aggiunse il parroco – E non sarà neppure l’ultima. Distrutto una volta dai Visconti di Milano, risorto per la munificenza dei signori Pepoli, Durazzo non si arrenderà neanche stavolta alla furia dell’Idice. Un giorno torneremo qui, perché siamo gente tenace, dura a morire e resistente come il “duracinus”, ovvero il nocciolo di quelle pesche veneziane da cui prende nome il nostro paese.

 

Gli uomini accolsero le parole del parroco in silenzio, rassegnati a ciò che doveva venire. E in silenzio tornarono alle loro case, a dire alle donne che bisognava far su la roba e andare via in fretta, anche se molti di loro non sapevano dove andare.

In silenzio, tornarono mestamente nella loro nicchia anche i Santi Pescatori, che la stessa domanda – Signore, da chi andremo? - se l’erano già fatta un giorno in Palestina e Pietro aveva risposto anche per loro, dicendo: Tu solo hai parole di vita eterna.

 

Il giorno dopo, il parroco era là sul Campanile a guardare la sua gente che se ne andava. Tutti in fila, come andassero a un funerale.

Quando anche l’ultimo carretto tirato da una coppia di buoi macilenti scomparve alla vista, il parroco si rivolse ai Santi Pescatori che l’avevano seguito e disse loro:

 

Adesso, posso andarmene anch’io. E voi, cosa avete in mente di fare?

Noi restiamo qui – risposero i Santi Pescatori – Hic manebimus optime, qui staremo benissimo, come si dice. Voi andate pure. Restiamo qui noi a fare la guardia alle case.

Va bene – disse ancore il parroco, nel salutarli – Ci rivedremo il 3 maggio che è la vostra festa. State bene!

 

Si sparse così la voce che i Santi Pescatori Filippo e Giacomo si erano rifugiati in cima al Campanile per far la guardia al paese abbandonato e là sarebbero rimasti finché le acque si fossero ritirare e la gente avesse potuto tornare un giorno ad abitare le proprie case..

E questo sarebbe il motivo per cui il Campanile di Durazzo non è mai venuto giù..

In poco tempo, la chiesa e le case, lasciate in balia delle acque, crollarono e vennero sommerse dal fango. Tutta la zona intorno al Campanile assunse un aspetto selvaggio, Dove un tempo c’erano campi coltivati, la palude tornava a prendere il sopravvento.

Solo il Campanile resisteva, piantato là in mezzo agli acquitrini.

Dal loro posto di guardia i Santi Pescatori continuavano ad aspettare.

Per ingannare il tempo, ogni tanto si davano la voce con San Matteo, che stava alla Molinella, o con San , il primo tra i Dodici, che abitava al Capo del Fiume e insieme ricordavano i bei tempi di Betsaida, quando erano giovani e gettavano le reti nel mare di Tiberiade, prima che il Signore, passando sulla spiaggia, dicesse che avrebbe fatto di loro dei pescatori di uomini.

C’è chi giura di averli visti alle finestre del Campanile: erano seduti sul davanzale, con le gambe a penzoloni e scrutavano l’orizzonte, come se aspettassero il ritorno di qualcuno.

In tutti questi anni, i Santi Pescatori non hanno mai lasciato il loro posto di guardia.

Il Campanile è ancora là, isolato nella campagna.

E ancora oggi, come ha scritto un cronista del secolo scorso, chi passa da quelle parti cerca tra la nebbia la sagoma del piccolo Campanile, provando a quella vista un senso di trepida malinconia.

 

Andrea Martelli

(Foto / Tobia Zucchini)

 

 



 

   

 

 

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