100 anni fa nasceva Aristide Facchini, un "grandissimo" dello sport molinellese

 

Foto / Copertina di un libro di Gianni Brera, che definì Facchini “atleta di olimpica bellezza”


 

La chiusura programmata di Duecaffè non ci ha consentito di essere puntuali, sabato scorso, nel ricordare il 100° compleanno di Aristide Facchini. Lo facciamo oggi, con questo articolo di Andrea Martelli, da Vite di Molinellesi Illustri (La Compagnia del Caffè, 2012)

 

Nella personale classifica del vecchio Baldrati, che fu il suo primo allenatore, Aristide Facchini, Facco per gli amici, condivideva forse con Augusto Magli il privilegio di essere il più grande atleta che Molinella avesse mai conosciuto. Però - aggiungeva sempre Baldrati - il divo Augusto fu solo calciatore (e con un piede solo, per giunta), mentre Facco, completo in tutto, fu altrettanto grande come atleta e non meno grande come allenatore. Quanto all’amichevole dualismo Facchini-Bertocchi, che lo stesso Baldrati aveva contribuito ad alimentare per spremere il meglio da entrambi, il primo per lui era Coppi, cioè la classe, la perfezione, lo stile; l’altro era Bartali, cioè la grinta, l’orgoglio, la rabbia.

Da Portomaggiore, dove il nostro campione era nato il 7 novembre 1920, il padre si trasferì a Molinella per venire a lavorare in bonifica quando lui, Facchini, era ancora bambino. Lasciate le Scuole d’Avviamento, andò presto a lavorare, per essere di qualche aiuto alla famiglia. Prima in risaia, vinattiere tra le mondine, poi allo zuccherificio come fattorino.

La sua storia di atleta comincia con una rovinosa caduta dall’alto di un’impalcatura, che gli procura un grave trauma toracico. Dopo una lunga degenza in ospedale, il primario dottor Ricci gli consiglia di fare tanta ginnastica. Ed è qui, nell’estate del 1935, che Facchini incontra Alfredo Baldrati, il quale mette a disposizione di quel ragazzo ancora convalescente tutta la sua smisurata passione di tecnico autodidatta. Al resto provvede il podestà Castellari, che ordina all’avanguardista Facchini almeno un mesetto di Campo Dux a Forlì, affidandolo alle cure del ginnasiarca Boscutti, un campione di salto con l’asta che vorrebbe fargli fare un po’ di tutto.

Ma Facchini vuole solo correre. La pista in terra rossa dello stadio appena inaugurato: è quello il suo mondo. Tutti i giorni Facchini è lì, con qualsiasi tempo, anche da solo. Baldrati ne intuisce il talento e per mostrarsi all’altezza del suo allievo, nell’inverno del 1936 prende il treno e va a Rapallo per parlare direttammente col maestro Comstock, l’allenatore della nazionale americana di atletica leggera, l’uomo che aveva portato al trionfo di Berlino il grandissimo Jesse Owens.

Dopo qualche giorno di paziente anticamera davanti all’albergo della riviera dove il guru statunitense è venuto a svernare, Baldrati riesce finalmente a farsi ricevere a corte. Rimane per qualche tempo alla scuola di Comstock, dal quale apprende l’arte di allenare. Quando torna a casa, imposta Facchini da giavellottista e questi, nel 1937, vince subito la Coppa Giuliani, scagliando l’attrezzo a mt. 45,12. L’anno seguente, così, tanto per provare, ma senza alcuna preparazione specifica, Facchini corre i 100 piani in 11”2. La Polisportiva Molinella si accorge di avere in casa un campione. Dirà Baldrati che quando lo vedeva andar via così leggero sulla pista dello stadio gli veniva da imprecare contro la natura matrigna, che a Facchini aveva regalato due gambe per volare e a lui i piedi piatti. Ma, evidentemente, c’erano gli ostacoli nel destino di Facchini. Per aumentare il ritmo di corsa e la frequenza dei passi tra un ostacolo e l’altro, Baldrati lo costringe a correre da fermo su una pietra. La prima gara sulla distanza dei 110 ostacoli a Ravenna nel 1938 (16”5 il tempo), con la maglia della Milizia Ferroviaria di Bologna come il compaesano e già affermato mezzofondista Carlo Bertocchi. Scende a 15”2 nel 1940, ma il suo anno d’oro è il 1941: tra giugno e luglio, in uno strepitoso crescendo di risultati, prima eguaglia con il tempo di 14”7 il record italiano (Firenze, 22 giugno) che era appartenuto a Oberweger e Caldana, poi, nel corso del meeting internazionale Italia-Germania che segna tra l’altro il suo esordio in nazionale (Bologna, 29 giugno), Facchini corre la distanza in 14”6, rimanendo primatista assoluto. E non è ancora finita, perché ai Campionati Italiani (Torino, 20 luglio) il cronometro dice 14”4, nuovo record italiano (che resisterà per ben 17 anni) e seconda prestazione d’Europa, un tempo da finale olimpica sicura. Ma c’è la guerra che infuria e di olimpiadi non si parlerà più fino al 1948, quando Facchini avrà purtroppo già appeso le scarpette al fatidico chiodo, impossibilitato a continuare per i postumi delle fratture riportate durante un’azione del suo reparto paracadutisti. Chiude come atleta e nel 1947 prova a fare l’allenatore. Fa la gavetta, stipendio da fame, alla Lavoratori Terni e poi al Cus Bari. Finalmente, nel 1955, lo chiamano le Fiamme Oro Padova e gli affidano uno squadrone. C’è tra i suoi allievi da sgrezzare anche il giovanissimo Livio Berruti, che Facchini accompagnerà fino alla vigilia delle Olimpiadi di Roma.

 

 

Facchini guida un allenamento del Milan a Milanello

 

Alla fine del 1959 compie infatti il grande salto: tradisce l’atletica per il calcio che paga meglio: va al Milan, preparatore atletico della squadra allenata da Rocco. Adesso lo chiamano “il professore”. Dovrà prendersi cura dei muscoli di Rivera, Altafini & C., lanciati alla conquista dello scudetto e, nel 1963, della prima Champion della storia rossonera. Nel 1967 torna all’atletica primo amore: allena il Gruppo Carabinieri Bologna e quindi la Fiat Torino. Nel 1970 entra nel clan di Nino Benvenuti, al tempo dell’ultima sfida mondiale con Monzon. L’anno seguente è di nuovo al Milan, dove farà ancora in tempo a vincere, con Liedholm, “lo scudetto della stella” nel 1979, prima di lasciare il campo e andarsi a sedere dietro la scrivania di direttore del Centro Tecnico di Milanello. Rimarrà in quell’incarico fin quasi all’alba dell’era Berlusconi, dal quale lo divideva solo l’amicizia mai rinnegata con Gianni Rivera.

Quando andò in pensione disse che, se gli fosse bastato il tempo, avrebbe voluto godere di molte cose. Dell’amore delle donne, con le quali, in verità, non si era mai risparmiato neanche da giovane. Del calore della famiglia, che non aveva mai avuto. Del ricordo degli amici di un tempo, che vedeva calare di numero ogni volta che tornava a Molinella. Alfredo, Augusto, Carlo, Pipetto  ... se ne erano ormai andati tutti.

Ha trascorso gli ultimi mesi inchiodato ad un letto, dice il figlio. L’hanno tradito le gambe che in gioventù l’avevano fatto volare.

Prima che lo abbandonassero anche i ricordi, Aristide Facchini, “atleta di olimpica bellezza” come scrisse di lui Gianni Brera, deve aver pensato che ora non aveva più bisogno del suo vecchio corpo imbrigliato dagli anni e dai malanni. E, infatti, il 26 luglio 2008 l’ha lasciato lì dov’era, sul letto di una casa di riposo vicino a Varese, per gettare un’altra volta il cuore oltre l’ultimo ostacolo.

 

 

   

 

 

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