Quando la nostra pista del ghiaccio era l'Annegale
L’Annegale, in quei freddi inverni della nostra giovinezza, pieni di neve e di ghiaccio come non se ne vede più, era ideale teatro di sfida in slittino, o meglio: “in sléss”, perché in dialetto fa meno attrito e sembra scivolare con più naturalezza. Affidabile nella tenuta per il rassicurante spessore del ghiaccio, l’Annegale era largo abbastanza da ospitare fino a tre slittini affiancati e tanto lungo da mettere a dura prova la resistenza di quei temerari sulle loro “macchine volanti” lanciate lungo Barattino.
Portavano braghe corte alla coscia, quei pionieri, calzettoni alle caviglie (isfon d’la nòna), scarponi risuolati, passamontagna d’ordinanza e manopole di lana. I loro nomi? Sérgio La Nella, che faceva “livra” (andava a bagno) ad ogni gara e fortuna che casa sua era a duecento metri e che la madre teneva il cambio della biancheria al caldo, vicino alla stufa a legna. Pazienza per quella volta che era andato a fare la spesa e quando tornò a casa trovò Sergio semi-assiderato – i ragazzi, all’epoca non potevano tenere le chiavi di casa – con lo sguardo vitreo e la mano sulla maniglia, rigido come un bif di Ponti. Brigoli al Cicco, costruttore – pilota che possedeva un vero e proprio cantiere privilegiato nel laboratorio del padre, “cassiere” a modo suo: una scuderia di sette-otto slitte, cui apportava continue modifiche per renderle sempre più veloci e competitive. Remo Braghètta, spericolato acrobata capace di condurre la slitta e centrare contemporaneamente con la fionda i bersagli più difficili. Gino al Pazét, bravo costruttore, ardito pilota e formidabile architetto anche di presepi meccanici che allestiva per Don Dino. C’erano in paese diverse scuole di pensiero circa il modo di costruire gli slittini. Teorie che privilegiavano di volta in volta, la stabilità mediante strutture tozze e rinforzate con barre di ferro trasversali come “spoiler”; l’aerodinamica con telai slanciati ed essenziali, leggeri e maneggevolissimi, ovvero la comodità: il Cicco ne costruì uno biposto, che varò con tanto di cerimonia nella Lorgana. Quei virtuosi creatori lavoravano in condizioni precarie negli scantinati, vere e proprie “gallerie de vento” per le correnti d’aria e gli spifferi. Già allora tecniche e materiali di costruzione avevano grande importanza. Di solito venivano assemblati pezzi di legno scartati dai falegnami, ed ecco fatto il telaio, mentre per le lamine di ferro, da cui dipendeva la scorrevolezza del mezzo, si ricorreva alle serrature delle porte che non potevano più fare il servizio. C’era sana rivalità, dai cantieri non trapelavano indiscrezioni fino al giorno convenuto per la grande sfida. Per le prove preliminari andava benissimo lo scolo Bonello che costeggiava la circonvallazione e, discreto e frastagliato consentiva le ultime verifiche. Poi, finalmente la gara, e qui diventavano determinanti l’abilità ed il coraggio dei piloti che si affrontavano a colpi poderosi di racchette, manici d’ombrello con la ferla in punta, sulla pista “olimpionica” per eccellenza: l’Annegale. Cortina? Ma cos’era Cortina?! Monti & Alverà?, leggendari campioni di bob che, a quel tempo, vincevano sempre. Vùt mèttar con al Pazét e La Nella!
In sléss sul canale ghiacciato, Sandro Bertocchi; il caffè n.6, 28 dicembre 1996
Foto, archivio Bonifica Renana