Gastone Mazzanti, "maestro di calcio e di vita". Un ritratto firmato da Eraldo Pecci, il suo allievo più famoso
Molinella, Campionato Prima Categoria 1962-63: Gastone Mazzanti è il primo a destra in piedi
Eraldo Pecci ne ha sempre parlato come di un suo “maestro”. Anche la sera del 12 luglio scorso, in piscina, ha ricordato più volte Gastone Mazzanti, per dire quanto sia stato importante per la sua crescita umana e sportiva insieme. Nato a Molinella nel 1930, giocatore (“non di classe ma di battaglia”) e poi allenatore della squadra di casa negli anni 50-60, Mazzanti divenne in seguito un apprezzato tecnico del settore giovanile del Bologna. Alla Virtus di via Valeriani, dove si allenavano le giovanili rossoblu, era considerato quasi un'istituzione. Negli ambienti sportivi di Molinella era un'autorità. Teneva banco ogni domenica sera al bar di Arduino, suo suocero, e intorno a lui, “nonostante fosse uomo dal carattere burbero e di poche parole”, si accalcavano i tifosi per avere le ultime notizie del Bologna. E àl Gastòn tronegiànt, il Gastone seduto come sul trono (così lo descrivono i più anziani) “rispondeva a tutti con compiacenza”. Alcuni ricordano che giocava ancora in prima squadra quando il presidente del Molinella, Faust Fiorini, gli affidò la Squadra Ragazzi, “forse intuendo nel genero di Arduino quelle qualità di allenatore che qualche anno dopo ne avrebbero fatto il talent scout di Pecci, Colomba e tanti altri campioni”. E fu ancora Mazzanti, nel 1962 (questo lo dice la storia), “il primo allenatore del Molinella a giocare stabilmente col libero”, affidando a Liccio Ungarelli la responsabilità dell’inedito ruolo. (am)
Qui di seguito, Pecci racconta Mazzanti: un ritratto dell'allenatore molinellese firmato dal suo allievo più famoso. Dal libro di Eraldo Pecci “Ci piaceva giocare a pallone. Racconti di un calcio che non c'è più” (Rizzoli, 2020); Capitolo 13, pagine 61-62.
(…) Poi c'era Gastone Mazzanti a completare il quadro degli allenatori della nostra leva. Gastone non aveva un passato da grande giocatore da esibire come Cervellati e Vavassori, ma era sincronizzato sulla stessa lunghezza d'onda degli altri due. Gastone aveva una macelleria e una grande passione per il calcio. Curava la parte atletica ed era responsabile della squadra "Berretti". Primavera e Berretti erano due tornei diversi ma riservati a giocatori della stessa generazione. La differenza consisteva nel fatto che si riteneva il campionato Primavera più importante e prestigioso tra i due. In realtà, noi delle due divisioni ci allenavamo assieme e, a seconda degli impegni, si poteva essere schierati nell'una o nell'altra squadra. Quando la fatica negli allenamenti superava un certo livello e qualcuno suggeriva a Gastone che non eravamo lì per essere macellati, lui ci faceva aumentare l'andatura "Visto che avete ancora fiato per dire delle cazzate".
Con Gastone quell'anno vincemmo il titolo italiano Berretit battendo per 1-0 in una partita unica l'altra finalista, l'Hellas Verona, allo stadio di Riccione,
A Gastone facevo molti scherzi. Una notte, venne a infamarmi prima di una partita importante perché non riusciva a entrare nel letto. Qualcuno gli aveva fatto il "sacco". Il "sacco" era un modo di piegare le lenzuola in modo che non ci fosse la possibilità per i piedi di entrare nel letto. In genere era uno scherzo da caserma. Quella sera Gastone era stanco ma non c'era verso per lui di sdraiarsi e reagì facendo un gran casino piombando in camera mia. Peccato che l'artefice dello scherzo non fossi io, ma non mi riuscì di convincerlo.
Ho continuato a frequentare Gastone anche quando andai a giocare nel Toro. Il martedì partivo da Cattolica, mi fermavo a prendere un caffè al bar davanti al suo negozio, due chiacchiere e poi riprendevo la strada di Torino. Qualche volta si trovava l'occasione di mangiare assieme per parlare di calcio e ancora di calcio. Gastone allenò anche la prima squadra del Modena. Gli dicevo che aveva imparato tutto da me, e ricordavamo la partita di Terni, semifinale del campionato Berretti. Avevamo perso 3-2 e Gastone non digeriva la sconfitta, ce l'aveva con me ma aspettò che fossi da solo per rimproverarmi: "Asino, mi hai fatto perdere la partita!". Era successo che durante il match avevo cambiato delle marcature in campo, cosa che ogni tanto mi permettevo di fare. Era sempre andata bene, mentre quella volta avevamo perso. Nella partita di ritorno ribaltammo il risultato e guadagnammo l'accesso alla finale. Io sostenevo che l'asino era lui e il confronto durò nel tempo. In realtà io adoravo Gastone ed ero ricambiato. Non aveva senso scoprire chi era più asino, dato che chiunque l'avesse spuntata l'avrebbe fatto al fotofinish.
Cesarino Cervellati, Giuseppe Vavassori e Gastone Mazzanti sono stati maestri di vita e importanti compagni di viaggio oltre che capaci allenatori-istruttori di calcio. Un proverbio orientale dice che, quando l'allevo è pronto, il maestro arriva. Credo che ci siano dl maestri che accelerano la maturazione degli allievi (...)
Omnibus, marzo-aprile 1993