Il gioco del pallone con bracciale che entusiasmò perfino Giacomo Leopardi e che si praticava anche a Molinella

 

 

 

La Poesia dello Sport compie 200 anni. Nel novembre del 1821, Giacomo Leopardi compone l'ode “Al vincitore nel gioco del pallone”, che non era dedicata ad un giocatore di calcio, ma a Carlo Didimi, considerato all'epoca il campionissimo della palla con bracciale.

Fra gli oltre diecimila spettatori che affollavano lo Sferisterio di Macerata un giorno di autunno del 1821 – scrive Alice Figini - c’era un uomo tutt’altro che anonimo, che tuttavia si confondeva con facilità tra le orde di tifosi accorsi dai paesi circostanti per incitare i loro campioni.

Così, in un attimo qualunque, avviene il confronto indicibile: da una parte il poeta Giacomo Leopardi, l’uomo riflessivo, dal multiforme ingegno, con un fisico fragile che lo tradiva non appena tentava di compiere uno sforzo fuori dall’ordinario; dall’altra Carlo Didimi, il campionissimo della palla col bracciale, forte e vigoroso, pieno di vitalità e di salute.

Erano coetanei all’epoca, eppure non avrebbero potuto essere più diversi per attitudini e temperamento. Fu l’incontro tra due personalità ardenti: in Carlo Didimi, Leopardi ritrovò il fascino degli eroi antichi che con le loro imprese tanto avevano infiammato la sua immaginazione e, allo stesso tempo, vide in lui, nella sua giovinezza ardente, anche tutto ciò che non poteva essere e non sarebbe mai stato. Inoltre, a Carlo spettava già in vita la gloria che Giacomo avrebbe conosciuto solo dopo la morte e che gli fu negata finché fu vivo.

In quell’occasione le vite di Carlo Didimi e di Giacomo Leopardi si erano appena sfiorate, ma tanto bastò per farne letteratura. (…) Nella lirica, composta nel novembre del 1821, si può individuare uno dei primi collegamenti tra letteratura e pratica sportiva.

 

 



Chi fosse interessato a sapere qualcosa di più sul “campionissimo” dell'epoca e ad approfondire il significato civile che Leopardi attribuiva alle imprese sportive di Carlo Didimi, può continuare a leggere l'articolo sul sito > http://www.storiedisport.it/?p=13428. Così pure chi è interessato a conoscere le regole del gioco, può trovarle su https://it.wikipedia.org/wiki/Pallone_col_bracciale

 

Qui, però, interessa soprattutto dire che questo gioco, nato alla fine del '400 nelle corti europee come passatempo dei nobili, divenuto popolarissimo in Italia nel XIX secolo, tanto da essere definito da uno storico francese “lo sport classico degli italiani”, veniva praticato anche a Molinella.

In una corrispondenza anonima per L'Osservatorio Teatrale Artistico Bolognese del 7 luglio 1873, si legge che “Avant'ieri si esibì alla Molinella l'asso del bracciale Agostino Banchini con i pallonisti bolognesi Morini e Musolesi spalla e terzino di ugual valentia, invitati alla sfida con i Tre Minganti, figli del concittadino Domenico Ravasini commerciante. Si giocò con le regole del pallone grosso toscano. Il pubblico richiamato dalla fama dei campioni dello Sferisterio accorse numeroso per assistere alla vittoria degli ospiti che ebbero il sopravvento sui nostri per 10 giochi a 2”.

Non sappiamo dove ebbe luogo quella memorabile sfida. Forse al Foro Boario, verrebbe da pensare, “il grande spazio erboso con acqua di fontana” inaugurato qualche anno prima proprio di fronte all'ingresso dell'attuale Asilo Viviani, destinato ad ospitare “il mercato del bestiame, gli spettacoli circensi e pirotecnici, le parate militari e il giuoco del pallone”. E, tuttavia rimane, la curiosità di sapere dov'era e da cosa era costituito il cosiddetto “muro di sponda o di rimbalzo”, che (stando al regolamento del gioco) avrebbe dovuto essere lungo circa 97 metri. Dalla parete di un qualche caseggiato o di un magazzino? Ma ce n'erano in zona di così grandi?

Non sappiamo neppure se quella fu l'unica partita che si disputò a Molinella o se, prima e dopo, ce ne sono state anche altre. Agostino Banchini era probabilmente il padre o lo zio del più famoso Bruno Banchini, toscano e grande rivale di Ziotti, idolo delle folle bolognesi.

 

 

Bologna era in qualche modo “la capitale del gioco del pallone”. Lo Sferisterio della Montagnola, inaugurato nel 1821, era per tutti gli appassionati “l'università del pallone”. Qui venivano a giocare i migliori pallonisti d'Italia, nei confronti dei quali gli elogi in rima si sprecavano. Qui si giocava quasi tutti i giorni alle cinque del pomeriggio, da marzo a ottobre. E le scommesse raggiungevano ogni giorno volumi altissimi.

Non c'è quindi da meravigliarsi se, dalla vicina Bologna, il gioco del pallone con bracciale sia arrivato anche a Molinella. Da come vengono presentati, i Tre Minganti (cioè i tre figli di Domenico, Minghén in dialetto) sembrerebbero rappresentare, nel 1873, il meglio del “pallone” molinellese, tre giovanotti in grado di sfidare i celebrati campioni dello Sferisterio. Per soldi, com'è lecito pensare, o per la gloria di Molinella, questo non possiamo saperlo.

Sappiamo però che l'epoca d'oro del pallone con bracciale stava ormai per tramontare. Presto, tra non più di dieci o quindici anni, sarebbero sbarcati in Italia gli sport inglesi e il football, ovvero il gioco del calcio che conosciamo noi, avrebbe soppiantato per sempre il vecchio gioco del pallone con bracciale. Ci vorranno però circa quarant'anni prima di assistere a Molinella ad una partita di calcio. E molti di più per vedere sparire il gioco del pallone. Allo Sferisterio di Bologna, l'ultima partita si giocò nel 1946.

Qualcosa rimane dell'antico splendore nelle varianti regionali del pallone elastico, del tamburello e della pallapugno, praticate ancor oggi in alcuni paesi della Toscana e delle Marche, della Liguria di Ponente e delle province di Asti e Cuneo. Come una specie in via di estinzione, tutti gli “sport sferistici” sono riconosciuti dal Coni come discipline associate che svolgono la loro attività nell'ambito della Federazione Italiana Pallapugno (FIPAP).

Andrea Martelli

 

 

 

 

 

   

 

 

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