Marcia su Roma a rovescio: quando il Duce marciò su Molinella
In questi giorni, libri, giornali e tv ricordano, ognuno a modo suo, l'anniversario della Marcia su Roma. 100 anni sono ormai passati da quel 28 ottobre 1922, un evento che, da qualunque parte lo si voglia vedere, ha cambiato la storia d'Italia.
Noi, piuttosto che raccontare per l'ennesima volta come il quadrumviro Italo Balbo sfoggiasse nell'occasione “un cinturone con fibbia recante lo stemma del Comune di Molinella”, dono dei fascisti molinellesi al ras di Ferrara per aver guidato, il 12 giugno dell'anno prima, l'assalto alla sede delle Leghe e alla Cooperativa; piuttosto che ricordare gli articoli de L'Assalto o de Il Mulino macina l'evento, giornale del Fascio di Molinella, che chiamava a raccolta “i patrioti della Nuova Italia“ o i discorsi solenni che si tennero in quei giorni anche a Molinella “in un tripudio di gagliardetti e di ardente gioventù” e di come tutto questo avvenisse tra “le lacrime d'orgoglio trattenute” degli irriducibili che vedevano svanire nella violenza il sogno socialista e sotto lo sguardo della polizia, impossibilitata ad intervenire; piuttosto che raccontare tutto questo (altri lo faranno per noi e meglio di noi), preferiamo mantenerci su un terreno più adatto alle nostre possibilità.
Partendo da qui, raccontiamo un'Altra Marcia, quando, trascorsi 14 anni dalla Marcia su Roma, ridotti al silenzio gli oppositori e consolidato il suo Regime, Mussolini girò i tacchi e dall'Urbe marciò spedito su Molinella. Era il 25 ottobre 1936.
“Il Duce voleva fare il bagno” (di Carlo Bonora)è appunto il racconto della giornata in cui furono inaugurati di corsa, insieme all'acquedotto e all'ospedale, anche tutti gli impianti sportivi del nostro paese, realizzati tra il 1932 e il 1935. Una giornata memorabile, vista con gli occhi di un bambino che non conosceva i precedenti.
Il Duce voleva fare il bagno
Nel mattino del 25 ottobre 1936 il paese era in attesa della visita di Benito Mussolini, Duce e Capo del Governo.
Gli agricoltori avevano portato i bovini e gli equini fuori dalle stalle e schierati ai margini dei campi e in bella mostra, perché avessero gli elogi delle alte autorità dello Stato. Le bandiere tricolori erano state esposte ai balconi e alle finestre. La banda musicale del Comune, diretta dal maestro Ilario Viviani, provava e riprovava la musica degli inni nazionali. Ma un antifascista irriducibile aveva abbassato la serranda del negozio da meccanico e si era chiuso dentro lavorando. Era la sua protesta!
A noi ragazzi dell’Opera Balilla e della Sezione Nuoto era stato affidato il compito di salutare, a braccio teso e sull’attenti, il Dice quando sarebbe entrato nella piscina comunale e di tuffarci in acqua, anche se era fredda, dimostrando vigore e coraggio.
Eravamo in attesa quando venne da noi nuotatori il ragionier Venturoli, nostro presidente ed economo comunale. Si rivolse a noi due giovanissimi, in età tra i nove e i dieci anni, già pronti in calzoncini da bagno:
“Voi due – disse – siete ancora piccolini per buttarvi in fondo! L’acqua è fredda. Starete fermi qui sul marciapiede e sull’attenti per salutare il Duce!”.
Fu un improvviso colpo basso per noi due! Una delusione! Avevo nove anni compiuti, ma qualcuno in paese diceva che ne dimostravo di più.
Stava entrando nel frattempo l’Istituto nazionale Luce per girare un documentario. “Ebbene, pensai, mi coprirò il viso con l’asciugamano, piuttosto che farmi vedere in un documento fermo sul marciapiede mentre gli altri si tuffano. Farò come Giulio Cesare che si coprì il volto con la toga quando cade sotto i colpi dei congiurati che lo pugnalavano!”. E poi il Duce, vendendomi sull’asciutto, avrebbe pensato o detto: “Questo è un Balilla che ha paura dell’acqua fredda! Se ci sarà una guerra lo metteremo nei servizi sedentari con le pantofole ai piedi!”. Che vergogna! E il mio amico coetaneo era già deciso a tuffarsi, nonostante il divieto.
Finalmente il Duce entrò da una porta laterale con un passo energico, o meglio da bersagliere quale era stato durante la prima guerra mondiale. Si fermò a guardare noi schierati sull’attenti e la piscina con gli impianti moderni ed esclamò a voce alta: “Se avessi tempo farei anch’io un bel bagno”. Tutta la sezione nuoto si lanciò in acqua e nuotò. I più anziani (gli avanguardisti) gareggiarono sul percorso dei cinquanta metri.
Arrivati in fondo, il Duce si fermò un attimo con loro sotto il trampolino e li salutò dicendo: “Ragazzi, se avessi tempo, farei anch'io un bagno con voi”.
Io e il mio coetaneo disubbidimmo al rag. Venturoli; era distratto nell’ammirare la cerimonia. Ci tuffammo. A diri il vero l’acqua, quella volta, non ci sembrò poi così fredda. Però pensai: “La piscina è meglio che il Duce la inauguri in estate!”.
Dal campo sportivo la banda comunale del Maestro Viviani suonava “Giovinezza!” mentre il Duce ci lasciava per andare alla Casa del Fascio e tenere un discorso dal balcone, in particolare rivolto agli agricoltori, perché rimanessero fedeli alla terra.
E così per la fretta non poté fare il bagno con noi!
In quanto al rag. Venturoli nel dopoguerra si trasferì a Bologna, dove trovò un posto da dirigente ben retribuito. Per le strade della città non mi riuscì di incontrarlo. Avrei parlato volentieri e gli avrei detto: “Ragioniere, quel giorno noi due piccolini abbiamo disubbidito al suo ordine. Ci tuffammo anche noi e andammo forte! Ragioniere, ma lei sa nuotare?”.
(Carlo Bonora: Il Duce voleva fare il bagno e altri racconti; La Compagnia del Caffè, 2004)