Reja e Fiammenghi: un protagonista vero e uno mancato della storia del Napoli che festeggia il terzo scudetto

 

Il gran gol di Fiammenghi contro il Villanova di Bagnacavallo, 14 febbraio 1960

 

 

A pensarci bene, sono due gli elementi di congiunzione tra la storia del Molinella e quella del Napoli, che festeggia in questi giorni il suo terzo scudetto, il primo dopo Maradona.

Protagonista vero della storia del Napoli è sicuramente Edy Reja, il quale, come sappiamo, ha iniziato la carriera di allenatore a Molinella nel 1979 e dopo aver girato tutta l’Italia, nel 2004 lo chiama finalmente il Napoli precipitato nel frattempo in Serie C ed in soli tre anni (quattro campionati) nel 2007 riporta gli azzurri del presidente De Laurentis nella massima serie. Si può quindi dire che la rincorsa del Calcio Napoli a quest’ultimo scudetto è cominciata proprio con l’ex molinellese Reja.

Meno nota, forse, la vicenda di Fiammenghi e del suo mancato approdo sotto il Vesuvio nella primavera del 1953.

 

 

Reja allenatore del Napoli; a destra: Fiammenghi con la maglia del Molinella

 

Fiammenghi Celso da Sant’Antonio della Quaderna (L’Eccelso, per il presidente Bentivogli) aveva un fisico da corazziere, era forte, potente, non aveva paura di niente di nessuno. Era nato per fare gol. Con la maglia del Molinella, tra il 1952 e il 1969, segnò una valanga di gol: 198 per la precisione (addirittura 26 in un solo campionato) che fanno di lui il più grande cannoniere della storia rossoblu.

Il Bologna di Lelovich lo adocchiò quando aveva appena quattordici anni e non lo prese solo perché era già tesserato per il Molinella. Lo volevano il Modena e la Spal. Nel 1953 andò a provare al Napoli, “che poi gli preferì un certo… Barison”. In realtà, le cose non andarono proprio così. E’ vero che al provino Barison, stesso ruolo e stesse caratteristiche fisiche del nostro, mise in ombra Fiammenghi, ma quando per l’attaccante veneto sembrava tutto già fatto con il Napoli, il Vittorio Veneto (la sua società di provenienza) preferì cederlo al Venezia col consenso della famiglia, “perché così era più vicino a casa”. Solo molti anni più tardi, nel 1967, Barison approdò finalmente al Napoli, dopo aver giocato nel Venezia, nel Genoa, nel Milan, nella Sampdoria, nella Roma e anche in Nazionale ai Mondiali del 1966. 

Smaltita la delusione del provino per il Napoli, Fiammenghi giocò poi nel Fano dal ’56 al ’58, “una breve parentesi... all’estero” che interrompe la sua lunga milizia nel Molinella. 

Come andarono veramente le cose quella volta col Napoli, lo racconta lui stesso a Sandro Bertocchi nell’intervista riportata qui sotto, destinata a far parte del libro “Abbiamo visto squadre che voi umani”, la cui pubblicazione, inizialmente prevista a Natale dell’anno scorso, è stata momentaneamente sospesa e chissà mai se si farà.

 

“(...) Vuoi sapere come andarono veramente le cose quando mi portarono giù a Napoli per il provino? Intanto a 14 anni mi avrebbe preso il Bologna di Lelovich, ma ero già tesserato per il Molinella. In seguito mi cercarono Modena e Spal, ma l’opportunità più bella fu col Napoli. Salii sull’auto pubblica di Aldo Bertacchini, accompagnato da Cesare Menarini, dirigente del Molinella e abile mediatore. Fui presentato ad un tecnico della Società che mi prese da parte e con fare furbo  mi rassicurò così:  “Il cendìle Manarino, qui (traduzione: il gentile Menarini qui presente), mi disse che fai goll da tutte  eppusiziune, con chisto fisicone mò vai in campo con la Primmavera, tira sempre in porta , sspacca a rete ed è cosa fatta. Ti sì capite? Annimo, cazzimme!”.   Forse quel dirigente mi aveva caricato troppo; più probabilmente, ci

pensavo nel viaggio di ritorno, fu responsabile una voce dentro che mi ricordava da dove venivo, la mia terra, le mie abitudini, gli amici del bar. Fatto sta che in novanta minuti non feci un tiro in porta. Ero grande e grosso, emozionato come un bambino alla Cresima.  Non se ne fece niente, Al posto mio presero Paolone Barison e io tornai verso nord, prima che a ‘Muntàggna’, il Vesuvio, avesse modo di intrappolarmi coi suoi incantesimi ...”.  (Sandro Bertocchi)

 

 

   

 

 

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