Il mio amico Gigi Riva. Un racconto di Enrico Visani

Ricordiamo il grande campione scomparso la settimana scorsa con questo articolo di Enrico Visani / da Arte e Sport Racconti di un artista.
 
 
 
 
 
 
 
 
Con il Cagliari in ritiro a Palazzuolo sul Senio

Nel 1972 il Cagliari, che due anni prima aveva vinto lo scudetto, si ritrova in ritiro estivo a Palazzuolo sul Senio, un ridente paesino sull’Appennino toscano, che mi è molto caro perché ha dato i natali a mia moglie Silvana e che, per questo motivo, allora frequentavo assiduamente.
La sorte quindi mi fece incontrare nuovamente Edmondo Fabbri che in quell’annata sportiva allenava i rossoblù. Io stavo presentando una mostra presso il Circolo Forestieri del paese e grazie a Fabbri riuscii ad avere la presenza di Gigi Riva e di Pier Luigi Cera alla mostra e questo mi procurò un aumento dei visitatori, probabilmente attirati più dalla presenza dei due calciatori che dai miei dipinti. Anzi, per tutta la durata del ritiro, siccome in paese non c’erano molti divertimenti, la squadra, dopo la cena e il caffè, veniva alla sala espositiva e, ovviamente, trascinava con sé un bel numero di tifosi curiosi. Devo dire che gli atleti erano molto disponibili al dialogo e in particolare era Riva, “Rombo di Tuono”, il più applaudito.
Ricordo con piacere che, mentre eravamo seduti al bar con il portiere Albertosi e con il brasiliano Nenè, Gigi mi invitò a trascorrere la loro ultima sera del ritiro con la squadra che desiderava ringraziare il paese per l’ospitalità ricevuta durante la permanenza in preparazione del campionato. Io accettai con entusiasmo e chiesi chi del paese fosse stato invitato. Riva mi rispose sorridendo: “Io ho invitato te, il mister inviterà chi crede”. Con il Cagliari in ritiro a Palazzuolo sul Senio

A questo punto accadde un episodio che mi rattristò molto: Nenè, che era solito prendermi in giro, si rivolse a me dicendomi: “Caro Pinturicchio, ti ricorderai di noi che ti portiamo anche a cena. Cosa vuoi di più dalla vita?”

Se a quel tempo fosse già stato coniato il detto “Un amaro lucano”, avrei risparmiato una situazione spiacevole. Io invece, da buon toscanaccio, replicai attaccando una canzone che il quel periodo tutti canticchiavano: “Vorrei la pelle nera...”. Mi accorsi che Nenè la prese male e io gli tesi subito la mano come per scusarmi. Lui ostentatamente la rifiutò, ma fu a quel punto che il saggio Gigi Riva intervenne: “Enrico scherzava, ma ti ha chiesto scusa e tu non puoi rifiutare di accettare le sue scuse anche perché sei stato tu che l’hai provocato con la questione della cena”. Poi con tono autoritario Gigi ci invitò di nuovo a superare questo dissidio che terminò con un abbraccio di riappacificazione.
La sera della cena Gigi, quando mi vide arrivare, mi chiamò invitandomi a sedere accanto a lui.
Guardandomi attorno mi accorsi che di Palazzuolo non c’era nessuno e lo feci osservare al mio ospite il quale, sorridendo amabilmente, mi disse:” Noi conosciamo solo te e ti abbiamo invitato come rappresentante di questo paese”.
Ricordo che durante la cena di tanto in tanto scambiavo alcuni commenti con il mister Fabbri in dialetto romagnolo e Riva mi chiedeva di tradurre la nostra conversazione. Mi accorsi allora che tra i due non c’era molto “feeling” e mi ricordai che pochi giorni prima l’allenatore mi aveva chiesto di manifestare al suo campione alcune sue necessità. Non dirò di cosa si trattava, perché il favore che mi era stato richiesto mi parve poco verosimile, anche se in quei giorni i quotidiani sportivi ne parlarono diffusamente. Ovviamente anche in quell’occasione Gigi si dimostrò prima di tutto un uomo intelligente e generoso e lasciò cadere la conversazione.
Così come intervenne autorevolmente quando Domenghini mi rinfacciò di aver donato una mia opera soltanto a Gigi e a Cera e non anche agli altri giocatori. Il mio imbarazzo fu molto grande ma Riva, rispondendo ad una nuova provocazione di Nenè che a voce alta disse: “Il maestro è troppo indaffarato per pensare anche a tutti noi”, intimò, seccato, di interrompere queste sciocche schermaglie.
Terminata la cena, Gigi mi propose di giocare con loro a “Mercante in fiera”. Io accettai, anche se con qualche preoccupazione perché mi resi conto che il gioco era pesante e io non avevo le risorse necessarie per far fronte ad una eventuale perdita. Riva se ne accorse e mi invitò a giocare in società affidando a lui, che conosceva bene l’ambiente e i giocatori, il compito di trattare acquisti e vendite delle carte. Più passava il tempo, più aumentava la mia sensazione che la serata mi sarebbe costata un bel po’ di soldi e quando Gigi decise di scambiare le nostre quattro carte con l’unica che possedeva Albertosi, in cuor mio dissi: “E’ finita, abbiamo perso tutto!!”.

La sorte però ci fu buona, anzi ottima, amica! Vincemmo un ricco bottino e mi resi conto che vendendo tre mie opere non avrei guadagnato una cifra così cospicua. La gioia fu tanta, quasi pari alla tristezza che mi colse quando ci congedammo e salutai con riconoscenza tutti quei campioni. Nel corso del tempo non ne incontrai più nessuno se non Albertosi che venne a visitare una mia mostra alla Galleria Palmieri di Milano nel 1979 e con il quale ricordammo con piacere i giorni trascorsi insieme a Palazzuolo
Mi è sembrato interessante raccontare questi episodi per spiegare che in fondo, pur appartenendo a due mondi diversi, arte e cultura possono integrarsi qualunque sia la dimensione tecnica e culturale dei loro interpreti.

Enrico Visani


Foto 1 - Sabrina, figlia di Visani, accoglie alla mostra con un omaggio floreale i giocatori del Cagliari Cera e Riva.
Foto 2 - Riva e Cera con un’opera di Visani.
 
 

 

   

 

 

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