Le campane che furono issate sul campanile nel novembre del 1966 saranno presto portate a terra

 

 

 

(8 settembre). Le nostre campane hanno avuto una storia lunga e molto movimentata. Ecco il racconto delle loro vicende sonore, “mentre dondolando nei secoli si adeguavano agli improvvisi abbassamenti di voce e agli sbalzi in altezza dei nostri campanili”.


Nell’autunno del 1963, con l’approssimarsi della data di fine lavori del campanile nuovo, don Vittorio Gardini affidò al bollettino parrocchiale (Parole di Vita) queste note piene di entusiasmo:
“Siamo contenti di vederlo alzare… Come un’antenna che raccoglie le voci cristiane di Molinella. Come un dito che ci indica il cielo. Come una pianta che esprime la forza del Vangelo. Come un monumento che abbellisce il paese”.
Il 6 maggio 1964, il parroco diede questo “festoso annuncio” ai fedeli riuniti in chiesa:
“Oggi il campanile nuovo è arrivato alla sommità. Dopo 55 anni e tre mesi, la Croce torna sul punto più alto di Molinella”.
Fatto il campanile, concludeva don Gardini, “adesso, però, bisogna cominciare a pensare alle campane”.
L’attesa delle campane durò più di due anni.
“Da molto tempo il campanile nuovo aspettava in silenzio le sue campane – scriveva don Gardini sul bollettino di dicembre 1966 - Le aspettavamo anche noi, con il desiderio di farle suonare presto, perchè potessero riempire di squilli il cielo di Molinella. L’era nuova che si profila sarà l’Era del Lavoro, ma deve sempre ricordare chi è l’Uomo nella sua integrità, se non vuol venir meno alle attese anche terrestri.
Il suono delle campane, che sovrasta il rumore della piazza, dei campi e delle officine, è un monito, un auspicio, un soccorso”.
Il 20 novembre era stato solennemente benedetto il nuovo campanone, fuso presso la fonderia De Poli di Vittorio Veneto. Il 21 erano state issate le quattro campane minori e il 1° dicembre 1966 il campanone aveva suonato mezzogiorno.
Le spese per il campanone, che avrebbe dovuto suonare “a perenne memoria del Concilio Vaticano II”, ammontavano a circa 2 milioni di lire, offerti generosamente dalla signora Zucchini Yorkowitz” (il marito donerà anche i mosaici dei Quattro Evangelisti, che dal 1973 ornano la facciata della chiesa nuova).
“La campana – scriveva don Gardini sul bollettino - simboleggia l’unione tra il cielo e la terra. Il suo oscillare rappresenta gli estremi del bene e del male, della vita e della morte, del presente e dell’eternità. La sua forma è la volta del cielo. Il suono della campana s’intreccia con la vita del popolo di Dio: scandisce le ore e i tempi della preghiera, chiama la gente a celebrare la santa liturgia, a venerare la Vergine Maria al mattino, a mezzogiorno e a sera, segnala gli eventi lieti o tristi per tutta la comunità o per uno solo dei suoi membri. Nove tocchi: è passato a miglior vita un uomo, si diceva una volta. Sette: è toccato a una donna. Se al mattino presto, dopo l’Ave Maria, si udiva un solo rintocco, voleva dire che era sereno. Se i tocchi erano due, il cielo era coperto, tre pioveva, quattro nevicava. Tutte cose, alle quali non prestiamo più nè cuore nè orecchio, perchè il mondo è cambiato”.
Ci voleva forse il primo rintocco del campanone, suonato a mezzogiorno del 1° dicembre 1966 dal sagrestano Adelmo Saguatti, perchè ci ricordassimo delle nostre campane, delle loro vicende sonore, mentre dondolando nei secoli si adeguavano agli improvvisi abbassamenti di voce e agli sbalzi in altezza dei nostri campanili, una malattia cronica, di cui loro stesse, le campane, sono state spesso la causa.

LE NOSTRE CAMPANE: UNA STORIA LUNGA E MOVIMENTATA
C’era già “un piccolo archetto campanario a sventola” sul tetto della primitiva chiesa di San Matteo, ma le prime campane di cui si ha notizia sono quelle che nel 1583 fecero sentire i loro rintocchi dalla sommità della Torre Civica, che non aveva più alcuna funzione militare. Da lì, “le due vecchie campane, insieme ad altre due nuove” furono poi trasferite la prima domenica di luglio del 1750 sul campanile pendente appena costruito, dove rimasero fino agli ultimi decenni dell’800, “libere di suonare a distesa”.
Verso la metà del XIX Secolo era entrata in funzione anche la campana maggiore, “fusa nel 1856 presso la Pontificia Fonderia Brighenti”.
Un piccolo inciso: la famiglia Brighenti era originaria di San Martino in Argine, da dove il capostipite Gaetano si era poi trasferito a Bologna intorno al 1740.
La “campèna grànda” recava impressa questa iscrizione: “Il popolo della Molinella è di verace spirito religioso”.
In quegli anni di fine ’800, Molinella si era distinta in tutto il circondario anche per “la mirabile esecuzione del doppio bolognese da parte dei suoi campanari”.
Ma quando il campanile cominciò a dare serie preoccupazioni, il sindaco Pedrelli vietò l’uso delle campane, “specialmente nelle giornate di vento”.
Il 13 dicembre 1902 le campane furono definitivamente ridotte al silenzio per ordine dell’autorità comunale, “preoccupata dal recente crollo del campanile di Venezia”. Don Ercolani, succeduto nel frattempo a don Caselli, riuscì ad ovviare all’inconveniente soltanto il 27 dicembre 1905, quando le campane furono finalmente collocate su un traliccio, nel cortile della canonica.
“Ma fu questione d’onore, per don Angelini, riportare in alto le campane, perchè facessero sentire lontano la loro voce”.
E in questa “ansietà dell’Arciprete”, che nel 1909 aveva già dovuto rassegnarsi all’amputazione del campanile, c’era, secondo don Gardini, qualcosa che andava oltre il fatto religioso:
“Era come affermare un diritto di cittadinanza che la parte cattolica, in quei tempi di anticlericalismo forsennato, si vedeva continuamente negare”.
Nel 1914, “il popolo cristiano della Molinella salutò perciò con grande gioia l’inaugurazione di quel piccolo campanile costruito dietro l’abside della chiesa vecchia”, che dal nome dell’ingegnere progettista è detto Torretta Reggiani.
Le campane tornarono così “a far sentire lontano la loro voce, tenuta a lungo soffocata”. Trent’anni dopo, due campane, “per complessivi Kg. 549 di bronzo”, rischiarono di essere sacrificate sull’altare dell’EnDiRot, l’Ente Distribuzione Rottami per le Fabbricazioni di Guerra, che il 19 febbraio 1943 aveva incaricato la Ditta Brighenti (la stessa che le aveva fuse duecento anni prima) di rimuoverle per farne dei cannoni, pagando un indennizzo di 10 lire al chilo.
Il precipitare degli eventi bellici, per fortuna le risparmiò.
Rimasero così al loro posto, sulla Torretta Reggiani, fino a novembre del 1966, quando vennero finalmente issate sul nuovo campanile, insieme al campanone nuovo.
Ma per il campanone, che (come già detto) negli auspici del parroco avrebbe dovuto suonare “a perenne memoria del Concilio Vaticano II”, le cose andarono purtroppo diversamente: incrinato nella voce dal danno prodottosi sul bronzo probabilmente già al momento del montaggio, sarà costretto a “suonare fuori registro” fino al pomeriggio del 14 maggio 1984.
“Quel giorno - scrive don Carlo Federici, subentrato nel frattempo a don Gardini – stavo facendo dottrina nello studio del cappellano, quando ho sentito un grande fragore. Sono corso fuori e ho visto che alcune grosse pietre si erano staccate dalla parete del campanile, precipitando a terra. Altre avevano sfondato il tetto della chiesa. Il rumore ha richiamato molta gente. Nessuno grazie al cielo è stato colpito, neppure le macchine che sostavano davanti alla banca”.
Ad un più attento sopralluogo, risulterà “l’inconsistenza di un’intera parete del campanile nuovo, che in un punto, a trenta-trentacinque metri da terra, si è completamente staccata dai pilastri di cemento, con evidente pericolo di crollo”. Si dovette intervenire subito. Le campane vennero “legate definitivamente”. Si montò un ponteggio e i lavori di restauro del campanile appena 18enne furono affidati ad una ditta locale.
Il campanile nuovo imitava quello vecchio e sembrava - anche lui, il nuovo - non volerne proprio sapere di starsene lì, buono e tranquillo, mentre la vita di Molinella gli scorreva tra i piedi.
Come nel 1902, tornammo a perdere “il bel canto delle nostre campane”. Questa volta ci venne in soccorso la tecnologia moderna, grazie all’offerta generosa dell’industriale Natalino Pancaldi.
Un impianto stereo, che amplificava la voce di un nastro registrato, si sostituì al suono delle campane.
“E’ tutto elettronico”, ma non sarà più la stessa cosa.

[ Andrea Martelli, “Tanti saluti dal secolo scorso” / modificato; La Compagnia del Caffè, 2000 ]

 

   

 

 

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