Agosto 1924. Novant'anni fa la prima campagna dello zuccherificio

 

 

 

 

Lo zuccherificio avrebbe compiuto in questi giorni 90 anni. Con la sua ciminiera e il grande silos, lo zuccherificio ha cambiato il panorama di Molinella e ha concorso un bel po' anche a cambiare l’anagrafe e il DNA dei molinellesi, immettendovi connotati e caratteri di altre popolazioni, provenienti da ogni regione d’Italia. La sua sirena ha regolato per decenni i ritmi del paese. La fabbrica che non si era fermata neanche durante la guerra, quando i militari speravano nella “licenza agricola” per starsene un po' di tempo lontani dal fronte, ha dato da mangiare a centinaia di famiglie e ha consentito di sbarcare il lunario a intere generazioni di studenti, offrendo loro i primi soldini di una sudata indipendenza economica. Al termine della campagna saccarifera del 1991, è toccato al direttore Gilberto Cuneo il compito di spegnere per sempre i motori, che il dottor Ugo Di Gioacchino aveva acceso nell’agosto di sessantasette anni prima. La chiusura della “più anziana tra le fabbriche molinellesi” ha segnato comunque la fine di un’epoca. Ora, dello zuccherificio non è rimasto che il ricordo: il 5 giugno 2007, la vecchia fabbrica è stata fatta “brillare”, ridotta in polvere in un attimo dalle mine.

 

Qui ne ricordiamo gli inizi, da una pagina del Diario del Novecento di Andrea Martelli.

 

 

 

Il primo sbuffo di fumo esce dalla ciminiera la mattina del 5 agosto, ad ore 9,30”. Le macchine sono in moto. Fra poco tutto lo stabilimento andrà in pressione e si potrà cominciare a macinare. La prima consegna di bietole è del giorno 11: un carro tirato da due buoi, che sarà scaricato a mano.

Sembra incredibile, ma non è trascorso neppure un anno dalla posa della prima pietra, avvenuta il 9 settembre 1923. Se è vero che la città di Sabaudia sarà costruita in 280 giorni, non possono meravigliare gli undici mesi (un tempo comunque brevissimo) necessari alla costruzione dello Zuccherificio di Molinella. C’erano tutte le autorità, quel giorno, con in testa il prefetto Aphel., il console generale Baccolini e l’onorevole Manaresi. “La prima pietra dell’imponente edificio, che fu benedetta dall’Arciprete don Angelini tra la commozione del popolo, conteneva un cilindro metallico dentro il quale fu murata la pergamena ricordo, con due monete dell’ultimo conio. Opera pregevole del pittore Gino Marzocchi, la pergamena rappresenta simbolicamente l’Italia che accoglie tra le sue braccia materne un balilla. Reca in basso un’iscrizione che dà atto della tangibile volontà di riscossa del popolo molinellese attraverso il lavoro, secondo gli alti dettami del Duce”. Una nota gentile: “La prima cucchiaiata di calcina sul loculo contenente la pergamena la diede la consorte del dottor Gulinelli, uno dei più fervidi sostenitori dell’iniziativa, al quale una dolorosa indisposizione impedì di partecipare purtroppo alla cerimonia”.

Fabio Golfera di Conselice, in arte Rafelgo, dedicherà all’avvenimento una poesia, che inizia così: “In un prato desolato / Ove c’era sol gramigna / Sorse come per incanto / Una fabbrica ferrigna”. Il grande artefice di questa impresa agro-industriale è stato il finanziere Max Bondi, che aveva coinvolto nel progetto, con quote azionarie diverse, alcuni proprietari terrieri della zona, come Mazzotti, (che aveva rilevato la tenuta Mazzucurati), Pedrelli, Zucchini, Buscaroli, Gulinelli e altri. La ragione sociale del gruppo è: “Molinella-Società Agricola Industriale SpA”. La realizzazione dell’impianto, è stata affidata, per le opere in muratura, alle imprese Rossi di Molinella e Pilati di San Pietro, per la parte tecnologica, invece, a ditte cecoslovacche. Della cecoslovacca Skoda è il progetto del Villaggio, con le palazzine per i tecnici e i dirigenti. Lo chiamano già il Paese dei Campanelli e il bravo Rafelgo non perde l’occasione per ribadirlo in rima: “E lì appresso a poco a poco / Come tante pecorine / Venner su per gli impiegati / Delle belle palazzine / Che formarono da sole / Come dicon questi e quelli / Un paese d’operetta / Che si chiama ‘Campanelli’”. Sono cecoslovacchi anche i primi due capifabbrica, i signori Wrizeck e Zelinka, che, insieme al direttore, il dottor Ugo Di Gioacchino, “proveniente dallo stabilimento diCodigoro”, hanno messo in funzione l’impianto, appunto il 5 agosto 1924. La prima campagna saccarifera, “che occupa 150 facchini ed oltre 300 addetti con varie mansioni per turno”, durerà fino a Natale e stabilirà già un record assoluto: “1.027.607 quintali di bietole lavorate”. Nessun altro zuccherificio d’Italia è in grado di fare meglio.

 

 

 

 

Lo Zuccherificio richiama gente da fuori: “Arrivano in molti, soprattutto dal basso ferrarese, con le famiglie appresso. Sono talvolta operai specializzati, ma anche semplici braccianti in cerca di lavoro”. Dopo le risaie e i cantieri della bonifica, ecco lo Zuccherificio, terzo fattore di “rimescolamento genetico” del sangue molinellese.

Nel 1926 Max Biondi si ritirerà dall’impresa e la società sarà quindi rilevata dalla Saccarifera Lombarda, che ha sede a Milano. Arriverà un nuovo direttore, il ragionier Agostino Boero, al quale subentrerà nel 1940 l’ingegner Giovanni Doro.

 

(Andrea Martelli, Tanti saluti dal secolo scorso. Diario molinellese del 900. La Compagnia del Caffe, 2000)

 

 

 

 

 

   

 

 

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