Comincia sabato prossimo il 96° Giro d'Italia. Nell'imminenza della grande corsa a tappe, facciamo un salto indietro di quasi 50 anni, all'estate del 1967, quando anche a Molinella si corse un “Giro d'Italia” fatto in casa, con tanto di maglia rosa e coppa per il vincitore. Nato da un idea di adulti un po' incoscienti e visionari, il Giro ebbe per protagonisti i bambini che frequentavano la parrocchia. Ecco riproposto qui (da un vecchio caffè del '97) il racconto di quel Giro memorabile, nei ricordi del suoinventore e direttore di corsa, Lino Gurioli.
UN GRAN BEL GIRO ...
Quando la salita di Traghetto era la Cima Coppi
Nessuno se ne ricorda più, forse neanche i protagonisti di allora. La Gazzetta dello Sport non lo annovera certamente tra le manifestazioni ufficiali, eppure vi assicuro che nell’estate nel’67 si corse a Molinella un Giro memorabile. Sull’onda dei successi di Felice Gimondi, alcuni giovani che all’epoca frequentavano la canonica di Don Vittorio Gardini, grande nostalgico del ciclismo bartaliano, lanciarono l’idea di una corsa a tappe sulle strade del nostro Comune, per tenere impegnati ogni mattina i bambini più piccoli che ancora non erano partiti per il mare.
Nella bacheca degli avvisi parrocchiali, sotto il portico che congiunge l’attuale scuola di musica con la vecchia chiesa, a firma di una fantomatica “Polisportiva San Matteo” (rinata più recentemente come Italia Csi) venne affisso il bando per reclutare “giovani valorosi”, con il programma della corsa, che prevedeva tra l’altro la cronoscalata del ponte di Traghetto, la temutissima granfondo Molinella-Selva-Molinella e, per i velocisti, la tappa Marmorta-Alberino. La Grande Corsa prese il via un lunedì mattina. Sulla linea di partenza si presentarono una ventina di bambini (uno solo con la bicicletta da corsa) che, divisi in quattro squadre e nella generale indifferenza dei passanti, attraversarono a passo d’uomo le vie del centro. Li precedeva il sottoscritto, patron della corsa, su Mosquito Atala 48. In vespa, con tanto di bandiera segnaletica, Renato Angelucci, improvvisato giudice di gara ed oggi affermato ricercatore al CNR. Ai Giardini della Stazione, come convenuto, i corridori scattarono verso il primo traguardo di tappa. Non c’era la folla delle grandi occasioni, in Piazza del Popolo, ad attendere il vincitore quel sabato di luglio, dopo sei giorni di gara. Mi pare fosse Elio Tugnoli dello zuccherificio, il migliore di quella scalcinata banda di valorosi, che avevano sfidato le ire dei genitori e ora facevano ritorno in paese per condurre a termine, su biciclette d’ogni tipo, una corsa di cui quasi nessuno si era accorto. Confuso in mezzo al gruppo dei dodici sopravvissuti c’era anche l’attuale Assessore allo Sport. Il Parroco era forse l’unico ad aspettare, con malcelata ansia, l’esito della gara. Alla fine del giro tirò un sospiro di sollievo e proibì qualsiasi riedizione della Grande Corsa. Anche nel suo cuore di vecchio bartaliano, il ciclismo alla viva il parroco, l’improvvisazione e il rischio cedevano la strada alle competizioni ufficiali, alla necessaria burocrazia dei permessi, delle assicurazioni e dell’assistenza medica obbligatoria. Correre sperando in Dio non era più neanche roba da Parrocchia.
Lino Gurioli
(Il caffè n. 5 (22) – Anno IV del 4/5 ottobre 1997)