Sandro è vivo!... Un ricordo di Andrea Martelli

 

 

Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? La frase del Vangelo di Luca mi accompagna da giovedì mattina. Per ricordare un caro amico che non c'è più, parto da qui. Era un uomo di fede, Sandro Montanari. Si vede che doveva andare così, mi ha detto qualche settimana fa, alludendo alla malattia che ormai non gli dava più scampo. Nelle sue parole c'era la fiduciosa certezza che nei disegni del Signore tutto va come deve andare. A quel tempo, aveva ancora in vista un traguardo importante per cui lottare: lui, che 13 anni fa era stato il padrino di mio figlio Francesco, voleva arrivare almeno al giorno della Cresima di sua figlia Anna. In qualche modo, al traguardo c'è arrivato, anche se le sue condizioni domenica scorsa non gli hanno permesso di essere lì a far festa con la sua famiglia. Dopo, deve essergli sembrato troppo faticoso continuare. Si è alleggerito del suo corpo gravato dalla malattia e l'ha lasciato lì, in quella camera dell'Hospice di Bentivoglio, dove l'ho trovato l'altra mattina.

 

Anche il suo impegno nello sport non è stato mai fine a se stesso. Lo sport, il calcio in particolare, era il terreno di gioco che si era scelto per dare testimonianza di sé e della sua fede. Sapeva cosa volesse dire essere testimoni e quale tipo di responsabilità comportasse e come fosse difficile dimostrarsi all'altezza del compito di educatore, che è cosa molto diversa dal titolo di allenatore. Leggevo in questi giorni su facebook che nessuno l'ha mai chiamato mister o coach: per tutti, era semplicemente Sandro. Per tantissimi ragazzi, che ora gli dicono grazie “per averci insegnato a giocare fino in fondo la partita della vita”, Sandro è stato un esempio. In campo e fuori dal campo. Lo è stato soprattutto per tutti noi, che in questi due anni abbiamo ammirato la dignità con la quale ha affrontato a viso aperto la malattia, senza nasconderne i segni e il dolore.

 

Ci divideva la differenza di età, ma venivamo tutti e due dalla stessa scuola di vita. Ed era una buona scuola. Né io né lui ci siamo mai rassegnati all'idea che Dio non amasse lo Sport, ovvero che lo sport non avesse diritto di cittadinanza in parrocchia. In anni diversi, abbiamo combattuto tutti e due la stessa battaglia e spesso, a malincuore, abbiamo dovuto arrenderci all'evidenza.

Ricordo la prima volta che lo vidi giocare al campetto del prete. Credo fosse una domenica di giugno del 1982. Sandro indossava la maglietta gialla del Torneo Scarabocchio, il campionato delle parrocchie, organizzato all'epoca dal Giornalino dell'Azione Cattolica Ragazzi. Non fu così facile convincerlo a lasciare quel pezzetto di terra dove aveva messo le radici per venire a giocare nel Molinella. C'erano con lui Paolo Canossa, Andrea Monti, Fabio Chinni, Michele Bordoni (e forse ne dimentico qualcuno), che insieme a Tebaldi e Michele Bragaglia, a Vittorio Cacciatori, Luca Orsoni e altri avrebbero fatto per molti anni le fortune del settore giovanile rossoblu.

 

Nel 1986, quando già avevo lasciato da tempo il Molinella per il Codifiume, Sandro venne con me in Francia, per partecipare come prestito al Torneo di Parigi XI. Poco dopo gli chiesi di cominciare a fare qualcosa con i bambini, nello stile della parrocchia, dov'è del tutto normale che i più grandi tornino indietro a prendere per mano i più piccoli. Ho sotto gli occhi una fotografia: siamo in Svezia, allo Stadio Ullevi di Gotheborg, luglio 1989. La Gothia Cup di quell'anno rappresenta il suo esordio ufficiale da allenatore dei piccoli del Codifiume. Pochi giorni dopo nacque l'Unione Sportiva Reno, di cui Sandro è stato fin dall'inizio una colonna portante. Alla fine del 1995 gli lasciai volentieri la responsabilità tecnica di tutte le squadre. Di lì a a qualche tempo, come ad indicare la fine di un'epoca, sarebbe uscita definitivamente di scena tutta la Vecchia Guardia del Reno.

 

Da allora, e per più di vent'anni, Sandro è stato l'Unione Sportiva Reno. Ha continuato ad occuparsene fino agli ultimi giorni, rispondendo alle mille telefonate di chi voleva sapere a che ora si giocava e dove, o il risultato di una partita del Calcio alla Luna. Meno di un mese fa, mi ha chiesto se gli trovavo qualcosa da fare per le Olimpiadi dei Ragazzi, così almeno avrebbe avuto meno tempo per pensare a se stesso e immalinconirsi. E' morto sul campo, come l'ultimo degli eroi greci. E' morto giovane, rapito agli uomini perché caro agli Dei dell'Olimpo, come vuole la tradizione e tutta la letteratura classica, che ha riempito i suoi e i miei anni di liceo.

 

Allegro e scanzonato, ma fermo nei principi e nelle cose che contano di più, Sandro Montanari ha incarnato meglio di chiunque altro lo spirito originario, l'anima del Reno. Non ho sempre condiviso le sue scelte, così come lui ha avuto spesso qualcosa da dire su certe mie prese di posizione. Ma potevamo permettercelo. Potevamo perfino essere in disaccordo su tutto e capirci lo stesso. Quando c'erano decisioni importanti da prendere, non mancava mai di invitarmi alle riunioni del Reno, che io puntualmente disertavo perché sentivo che il mio tempo era passato. Ed ora che anche il suo tempo è passato, mi pare che tutto sia andato troppo in fretta, che molte cose non abbiamo fatto in tempo a dircele come avremmo voluto. La vita, purtroppo, è una partita secca, che non prevede tempi supplementari qui in terra. Ma quando l'Arbitro fischia la fine, non è la fine di tutto. Anzi, è proprio allora che viene il bello, è allora che si comincia a giocare sul serio. Sandro sapeva bene che questo era solo un allenamento in vista della Champions League che si gioca altrove. Dove l'Eternità del tempo di gioco, l'Infinita grandezza del campo, il Verde brillante del prato e il Blu profondo del cielo che danno colore alla nostra bandiera, sono il giusto premio per uno che fin da bambino non si stancava mai di correre dietro ad un pallone e avrebbe voluto che le partite non finissero mai.

 

Andrea Martelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

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