I Gialli dell'Estate: la scomparsa della cella campanaria. Un racconto di Alberto Fiorentini

 

In agosto, Molinella è sonnacchiosa come una vecchia gatta. Il caldo afoso sconsiglia al cittadino di gironzolare per le strade assolate, e pertanto ognuno se ne sta rintanato a casa propria, trovandosi qualcosa da fare tra le mura domestiche, possibilmente in cantina, al fresco; l’occasionale passante forestiero che si aggirasse per Molinella troverebbe le strade del paese deserte come dopo un olocausto nucleare.

A questa regola non sfugge nemmeno il professor Decimo De Claudiis, luminare di criminologia in pensione, con l’hobby della storia locale. Oggi si è messo a rovistare (contrariamente alla logica della ricerca del fresco) in soffitta, tra le vecchie scatole impolverate che vi si trovano da chissà quanto.

È ora di fare un po’ d’ordine, quassù” rimugina tra sé, “altrimenti un giorno o l’altro mi crolla il solaio in testa”. “Da dove comincio? Bah, è indifferente… fammi un po’ vedere questa cassa…”.

Sulla cassa in questione appare in bella evidenza l’etichetta “Aristide De Claudiis”, nientepopodimeno che il nonno del professore.

Caspita… roba vecchia… chissà, magari c’è qualcosa d’interessante’”. Apre la cassa, e la trova piena di libri e album di ogni genere; afferra il primo volume che vede, dal vago aspetto di un diario, e appena lo solleva ne cade una vecchia cartolina.

 

 

Il professore raccoglie la cartolina, la ripulisce dal pulviscolo raccattato dal pavimento, e appena la guarda la curiosità “professionale” ha il sopravvento: “Uno squadrone di cavalleria a Molinella… ohibò! Cosa ci fa? E quando mai? Chissà che anno era?”. Subito gira la cartolina, per verificare quando sia stata spedita, ma purtroppo non è viaggiata…

L’unico indizio, per un conoscitore di storia molinellese come il professore, è che il campanile è già privo della cella campanaria . “Quindi siamo in un momento successivo al febbraio del 1909, visto che la demolizione risale a quel periodo… Beh, un primo fatto ce l’abbiamo”, rimugina soddisfatto Decimo.

Purtroppo, per quanto il professore ragioni, l’assenza delle campane rimane la sola notizia che è in grado di ricavare dalla cartolina. E non riesce a farsene una ragione, perché anni passati a cercare il perché ed il percome di ogni evento gli rendono impossibile lasciar cadere una qualsivoglia curiosità, sia pure di marginalissima importanza come questa.

Dopo un’ora il professore è ancora lì, in soffitta, seduto su un baule a domandarsi l’origine di quell’immagine. “Tanto è inutile star qui a scervellarsi, così non ne arrivo a capo. Faccio un salto al bar, magari trovo qualcuno con cui scambiare due chiacchiere e mi dimentico di questa stramaledetta cartolina”.

Il Bar Centrale è un covo di pensionati molinellesi, che passano tutta la giornata a discutere, più del passato che delle novità, a meno che non si tratti di pettegolezzi freschi freschi. Decimo prova ad inserirsi in qualcuna delle discussioni, ma quei cavalieri in divisa continuano a passargli davanti agli occhi.

Certo, tra i presenti nessuno è tanto vecchio da poter essere stato presente quando fu scattata la fotografia, ma il prof ci prova lo stesso. “Scusate se cambio argomento, ma… nessuno si ricorda dell’arrivo a Molinella di un reparto di cavalleria, dopo il 1909?”.

Sguardi tra l’attonito e l’interrogativo accolgono la domanda.

Prof, ti sei dimenticato quel poco che sai sulla storia di Molinella?”

Perché?”

Perché al massimo sarà stato PRIMA del 1909…”

E tu cosa ne sai?”

Per tutta risposta, l’avventore indica a De Claudiis un punto apparentemente imprecisato dietro la schiena del professore, che si volta per verificare cosa si trovi alle sue spalle. E, sorpresa, appesa alla parete del bar c’è una riproduzione della medesima cartolina (che Decimo, per anni, aveva bellamente ignorato), con il medesimo squadrone ed i medesimi passanti, nella stessa identica posizione… ma, colpo di scena! Sul campanile di questa fotografia la cella campanaria fa ancora bella mostra di sé!

 

 

No… non è possibile!” mormora il professore, togliendosi gli occhiali e strofinandosi la fronte, mentre vede svanire l’unico indizio certo che aveva rintracciato finora…

Perché non è possibile?”

A questo punto De Claudiis si trova costretto a spiegare il ritrovamento, e a condividere la ricerca di risposte alle sue domande.

Scusa, chiediamo a Pietro dove ha preso quella foto... magari ci aiuta a svelare il mistero!”

Pietro è il gestore del bar; un omone grande e grosso, di poco più giovane di Decimo e degli altri ottuagenari che frequentano il suo locale, la cui famiglia pare sia da generazioni dedita al mestiere dell’oste. In tale veste, è sempre informatissimo su tutto, essendo naturalmente portato a raccogliere ogni genere di chiacchiera; figuriamoci poi se gli si chiede di qualcosa che sta proprio nel suo bar.

Ma le attese del professore e dei suoi compari vanno parzialmente disilluse: “ah, quella foto…” risponde Pietro, “me la regalò tanti anni fa un prozio, dicendo che era un ricordo di famiglia…”

Ma questo prozio… è ancora al mondo?” incalza Decimo, dimenticando l’Accademia della Crusca e passando ad una forma espressiva decisamente più dialettale.

Ma figurati! Sarebbe stato più vecchio di mio nonno! Saranno ancora al mondo i suoi nipoti… quello con cui ero più in contatto stava in Friuli, a Udine… sono anni che non lo sento, ma l’indirizzo ce l’ho ancora”.

Ormai per il prof la febbre è salita a livelli intollerabili, scribacchia l’indirizzo su un foglietto, corre a casa, salta sul suo macinino e punta deciso verso la Venezia Giulia.

Tre ore (abbondanti) dopo, la carretta a motore si ferma davanti ad una villetta.

DIN DON

Chi è?” chiede sommessamente una voce dall’interno.

Sono il professor De Claudiis, di Molinella… ho avuto il suo indirizzo da Pietro, il barista del Caffè Centrale del mio paese… so che siete lontani parenti”

Il signor Renato accoglie di buon grado Decimo, che dopo i convenevoli di rito passa subito all’argomento principe: estrae di tasca la cartolina e la mostra al proprio ospite, spiegandogli brevemente di averne vista una copia nel bar di Pietro e chiedendogli se lui ne ha maggiori notizie.

Renato sorride e si alza. “Venga con me, professore”.

Decimo lo segue su per le scale, fino al sottotetto in cui Renato ha lo studio; aperta la porta dello studio, Renato si avvicina ad un baule, lo apre e ne estrae una scatola voluminosa. Apre la scatola, e da questa escono un colbacco di pelo ed una divisa dei primi del Novecento.

Ma… ma… è una divisa uguale a quella indossata dai soldati della cartolina!” balbetta De Claudiis.

Certo… vede, professore, mio nonno, il prozio di Pietro, si arruolò in gioventù in cavalleria; anche se difficilmente facevano entrare in quell’arma chi non era nobile, lui, provenendo da una famiglia di osti, aveva diverse conoscenze che gli diedero una… “spintarella” grazie alla quale riuscì nell’intento”.

Venne assegnato al 24° reggimento cavalleggeri di Vicenza, reparto con il quale combatté anche nella I Guerra Mondiale; nel 1919 il Reggimento fu sciolto, e i suoi effettivi confluirono nel “Saluzzo”. Ma sto divagando… vede, il motivo per cui il nonno era tanto affezionato a quella foto era perché lui, molinellese purosangue, si trovò a svolgere una missione proprio a Molinella”

Quindi mi sa dire quando fu scattata quella fotografia?” interviene speranzoso il professore.

Credo proprio di sì… in quell’anno il 2° squadrone, quello di mio nonno, venne inviato a Molinella in occasione di una serie di scioperi dei braccianti agricoli; era il 1901. E posso dimostrarglielo”

Renato si avvicina alla stessa scatola da cui ha estratto la divisa, e ne tira fuori una cartolina.

Ecco, guardi”.

 

 

 

È caldo anche sulla strada tra Udine e Molinella, ma il professor De Claudiis non lo sente, mentre, contento di aver svelato l’arcano, sfreccia ai 90 orari sul suo catorcio. Ha scoperto la verità… certo, costellata di imprecisioni grossolane. Come quel “Molinella (Ferrara)” stampato sull’ultima cartolina vista, quella “decisiva”… ma va bene, fu stampata a Treviso, cosa vuoi ne sapessero loro di dove sta Molinella…

Resta solo un dubbio, che difficilmente troverà risposta: chi “truccò” la foto originale facendo sparire la cella campanaria, e perché lo fece?

Il prof liquida il pensiero facilmente: “sarà stato un fotografo che, quando il campanile era già stato “accorciato”, ripescò quella vecchia ma curiosa e bella fotografia, e, per pubblicarla nuovamente, decise di “aggiornarla” mascherando la cella campanaria, in modo da poter sembrare scattata in tempi più recenti”.

Sarà così? Che importa… l’importante è aver svelato il mistero dello squadrone di cavalleggeri a Molinella”.

 

Alberto Fiorentini

(Ha collaborato alla soluzione del giallo Claudio Decataldo)

 

 

   

 

 

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