Cesare, mio fratello. Il divertente ritratto di uno sportivo per caso

 

A sinistra nella foto: Cesare Selleri tennista, in coppia con Atos Mingozzi (settembre 1972)

 

Articolo di Matteo Selleri

 

Se prima eravamo in tre a ballare l’hully gully, poi in due, ora son rimasto solo a ballare l’hully gully.

Dopo Andrea mi ritrovo a scrivere qui dell’altro mio fratello, Cesare. A ricordare colui che insieme a me rappresentava quanto rimasto della nostra famiglia d’origine e che lo scorso gennaio ha preso la strada che lo ha portato dall’altra parte della vita.

 

Mio fratello più grande, nato nel 1947, da piccolo parlava solo in dialetto. Memorabile fu la scena al cinema, quando a Molinella era uso andare a vedere il film della domenica pomeriggio.

Così fecero all’inizio degli anni 50 anche mia madre e Cesare, i quali, in una qualsiasi domenica estiva, una volta entrati e pagato il biglietto d’ingresso alla cassiera, la mitica Rina d'Angiólla, salirono in galleria dove, per fortuna, trovarono gli unici due posti liberi vicino alla scala che dall’ingresso portava al piano superiore. Poco dopo l’inizio della proiezione entrò la moglie del Dott. Billi [o Forti, non ricordo] cercando un posto per sedersi. Mia madre ovviamente spostò Cesare dalla poltroncina, se lo pose sulle ginocchia e fece accomodare la Signora Billi al posto di mio fratello. Fin qui tutto bene. Dopo qualche minuto Cesare e mia madre si scambiarono sottovoce due battute:

Mama, a jò chéld”

Stà mo bòn, ecco il ventaglio. Adèss t’starè mej”

Dopo qualche sventagliata, in un momento di silenzio, nel cinema illuminato solo dalle luce emanata dalle scene proiettate sul grande telo bianco, dalla galleria si udì una voce di bambino che urlò a squarciagola:

T’um fè vàint a la fàza ch’a a jò chéld al cùl!”

Inutile dire che tutti dentro al cinema si misero a ridere per diversi secondi. Cesare iniziò in questo modo a farsi conoscere meglio dai suoi compaesani.

 

Con l’adolescenza crebbe anche il modo di vivere e frequentare gli amici: Molinella in quel periodo era diviso in bande di ragazzini, dove – tra gli altri - anche il compianto amico Lino Gurioli ne era un componente; lui, però, di un sottogruppo della Spadona. Cesare era il capo di una di queste, almeno così mi han sempre raccontato, così come una testimone diretta mi dice che lei, allora ragazza ben più adulta, preferiva non uscire quando Cesare col suo gruppo passava od era nei paraggi di casa sua.

 

 

          

Cesare Selleri al Circolo Tennis (1972); a destra, l’ultima gara di pesca (2015)

 

Cesare era uno sportivo? Direi di sì, soprattutto nella pesca in acqua dolce, quando riuscì a piazzarsi secondo ai campionati regionali a coppie nella seconda metà degli anni 70 e terzo singolo ai provinciali del 1981. E’ stato pure uno dei primi ragazzini a cimentarsi, con scarsi risultati, nella pallacanestro molinellese dove, insieme al più grande Mario Parenti e qualcun altro volonteroso dei quali non ricordo i nomi, cercò di emulare i grandi della NBA americana o più semplicemente i virtussini felsinei.

 

A sedici anni partì volontario arruolandosi in marina e lì, a San Vito di Taranto durante il CAR, lui che era appassionato anche di nuoto, si trovò inserito nella squadra di pallanuoto della scuola CEMM e tra i papabili a frequentare, come si dice oggi, uno stage per la nazionale militare. Gli bastò questo per sentirsi gratificato. La passione per il nuoto gli nacque in piscina a Molinella, dove avvenne un fatto che i più attempati ancora ricordano: il giorno prima dell’esame di terza media, mentre era in acqua, mio fratello si trovò Scacèna [Gorgoretti?] addosso dopo che questi si era tuffato dal trampolino dei cinque metri. Fu un contatto violento, tremendo, che costò a Cesare alcuni punti di sutura in testa ed un bel turbante, non voluto copricapo che lo accompagnò alle prove d’esame dell’indomani

 

Negli anni 70 provò anche col tennis. Cesare, che nel frattempo si era trasferito a Rimini e fidanzato con Lidia, quando il sabato tornava a Molinella per trovare la famiglia, mi chiedeva di andare al circolo tennis e prenotare il campo. Si avvicinò a questo sport convinto di addomesticare la racchetta di legno ai suoi voleri, ma, ahimè per lui, dopo estenuanti partite soprattutto di doppio nel quale giocava in coppia con l’amico Atos Mingozzi, capì d’aver perduto il match con la Maxima torneo e, da perfetto competitivo, gliela diede su. Sconfitto, quasi umiliato, tornò ad impugnare la canna da pesca con la quale riuscì a cogliere maggiori soddisfazioni sportive.

 

Poi a metà degli anni 80 ebbe la folgorazione del biliardo a boccette. Come componente della squadra agonistica del Bar Cecchini di Spadarolo [RN] disputò fino ai primi anni duemila il campionato di serie B, con qualche apparizione come riserva in quella di A.

 

Una cosa oltre alla famiglia d’origine ed al cognome ci accomuna: la passione per “l’ottocento”, il tarocco bolognese. In questi ultimi anni nei quali Cesare ha lottato con le unghie, coi denti e la dentiera contro un esattore coperto da un mantello nero ed armato di falce, tutte le volte che ci siamo visti abbiamo sempre trovato il tempo per giocare con le “carte lunghe”. Noi due, a Rimini, unici custodi di un gioco di carte rigorosamente della nostra terra d’origine.

 

Era tendenzialmente uno sportivo, ma non atletico. Tra la pesca ed il biliardo ebbe un calo peso pari a zero mentre la circonferenza della pancia aumentò a dismisura fino a che nel 2004 ebbe la notizia della sua necrosi renale, sentenza che lo convinse a più miti consigli soprattutto nei confronti della buona tavola, fino al punto che davanti ad un piatto di tagliatelle fumanti colmo di ragù, di quelle tirate col bastone per intenderci, spesso gli scendeva una lacrima e, rifiutandolo con sguardo mesto, si cimentava sconsolato in una lotta impari con un’insipida minestrina in brodo.

(ms)

 

 

 

 

 

   

 

 

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